giovedì 13 giugno 2013

Indietro nel tempo

Un passo che mi ha molto colpito - e a quanto pare non solo me -  in un libro contemporaneo nomina e descrive dettagliatamente quattro quadri di cui ero ignara. Mi piace molto il senso dell'opera e come è inserita nella vicenda narrata dal libro:

"Poi sono entrato in una saletta in cui c'erano solo quattro quadri, e mi sono ricordato di averli già visti quando ero stato in gita scolastica con la terza media. Sono di Thomas Cole e s'intitolano "Il viaggio della vita" [...]. Sono dei quadri molto leziosi, un po' stupidi. Rappresentano le quattro età dell'uomo: infanzia, giovinezza, virilità e vecchiaia. In ogni quadro c'è una figura su una barca che naviga su un fiume, guidata da un angelo. 
"Infanzia"
Nel primo, Infanzia, c'è un bambino piccolo e la barca spunta da una caverna buia, il grembo materno. È mattino presto e il fiume scorre calmo attraverso una valle idilliaca piena di fiori. L'angelo è sulla barca, in piedi dietro al bambino, e hanno tutti e due le braccia tese verso il mondo a cui vanno incontro. 
"Giovinezza"
In Giovinezza è mezzogiorno e la barca si è addentrata nella bella valle. Il bambino si è trasformato in un ragazzo e sta in piedi, le braccia tese verso il futuro. L'angelo è sulla riva e gli indica la strada come un vigile. Le nuvole hanno la forma di un castello fantastico, circondato dal cielo azzurro. 
"Virilità"
In Virilità le acque del fiume sono furiose, il paesaggio è arido, tutto rocce; il cielo al tramonto è pieno di nuvole temporalesche. Il ragazzo è diventato un uomo, sempre in piedi sulla barca, ma prega a mani giunte mentre la barca punta verso le rapide. L'angelo è lontano, da un'apertura fra le nuvole guarda la barca che corre in avanti. Fa venire i brividi. 
"Vecchiaia"
Nell'ultimo quadro la barca entra dal lato opposto della tela. È difficile dire che ora sia perché il cielo è tutto scuro, c'è solo un fascio di raggi di luce che filtra tra i nuvoloni. È un'ora indistinta fuori dal tempo. Il fiume sta per sfociare calmo in un enorme mare scuro. Nella barca è seduto un vecchio e l'angelo vola proprio sopra di lui, indicando il mare e il cielo bui. In lontananza c'è un altro angelo che guarda giù dalle nuvole. Le mani del vecchio sono sempre giunte, ma non si riesce a capire se sta pregando o se sta implorando l'angelo di salvarlo prima che prenda il largo in quella paurosa oscurità [...].”

Termina qui la parte descrittiva dell’opera (che ho trovato già riscritta sul blog http://chicco1963.blogspot.it/2007/07/il-viaggio-della-vita-opera-di-thomas.html e ne approfitto per ringraziarlo dopo il furto che ho compiuto), ma io mi sono sentita in dovere di riportare anche la parte introspettiva del protagonista, in quanto mi ci sono ritrovata e proprio a proposito di questo libro. 
Lo avevo letto all'inizio del mio primo anno all'università, dopo averlo trovato per caso in libreria e acquistato per un vero e proprio colpo di fulmine letterario. Adesso mi ritrovo a rileggerlo, sul finire della mia carriera da studente, ed è il primo libro cui riservo questo trattamento. Tutto ciò che vorrei aggiungere lo dice quanto segue:

“La prima volta che li ho visti, quando facevo la terza media, ho pensato che erano bellissimi. Sembravano molto profondi [...].
Quando li ho rivisti sono rimasto scioccato, […] mi pareva impossibile che quei quadri melensi fossero in mostra permanente alla National Gallery. E poi ho avuto questa sensazione irrazionale che non fossero sempre stati lì, ma che qualcuno, sapendo che ci sarei andato, li avesse riappesi alle pareti. Una specie di trappola, insomma. Ma sapevo che non era vero, che erano sempre stati in mostra in quei cinque anni, non di più, anche se a me sembrava passata una vita. Non si può andare indietro nel tempo, lo so, ma a me pareva di sì: è sparito tutto, i cinque anni e il mondo, e mi sono sentito come se fossi due persone. Sul serio. Sentivo quello che avevo provato a tredici anni e quello che provavo in quel momento […]. E poi mi sono agitato perché ho capito che volevo essere nell'ultimo quadro, Vecchiaia, nella barca che andava verso il buio. Volevo saltare quella della Virilità. L’uomo adulto era terrorizzato e non riuscivo a capire che senso aveva il suo viaggio: perché affrontare quelle rapide infide, su un fiume che sarebbe  comunque finito nell'oscurità, nella morte? Io volevo essere nella barca insieme al vecchio, con tutti i pericoli alle spalle e  l’angelo accanto che mi guidava verso la morte. Volevo morire.”

"Un giorno questo dolore ti sarà utile", Peter Cameron, pp.120, 121, 122; edizione Adelphi


sabato 18 maggio 2013

Donna nell'Ottocento russo


Diversi libri e le loro note trasposizioni cinematografiche avranno portato alcuni di noi a pensare quanto potesse  essere desiderabile vivere nell'Ottocento, immaginando abiti sontuosi, maniere eleganti, palazzi affrescati e feste da ballo.
Ma sentiamo cosa Dostoevskij fa dire in uno dei suoi monologhi mentali - solitamente deliranti ma, in questo caso, è molto lucido e realistico -  a Goljadkin, il “nostro eroe” ne ‘Il sosia’, mentre egli attende, bagnato fradicio dopo una tormenta di neve, accasciato su un ceppo accanto a un cumulo di legna, un segnale convenzionato di Klara Olsùf’evna, dopo aver ricevuto la di lei missiva:

«Ecco com'è,  signorina mia, sempre che vogliate saperlo. E in una capanna, signorina mia, dico, è così e così, nel nostro secolo nessuno ci vive. Ecco che cosa! E senza costumatezza nel nostro secolo industriale, signorina mia, non si fa presa, del che voi stessa servite ora di funesto esempio…
Occorre, dite, prestar servizio come capoufficio e vivere in una capanna, sulla riva del mare. In primo luogo, signorina mia, sulle rive del mare non ci son capiufficio. Poiché, mettiamo, per fare una supposizione, ecco, io inoltro una domanda, mi presento… dico, è così e così, fatemi capoufficio, dico… e difendetemi dal mio nemico… ma a voi diranno, signorina, diranno quello… di capiufficio ce ne sono già molti, e che voi qui non siete dall'emigrata Falbalà [nomignolo che Goljadkin affibbia all'istitutrice francese del collegio in cui ha studiato Klara Olsùf’evna, n.d.r.], dove avete imparato i buoni costumi, del che voi stessa servite di funesto esempio. I buoni costumi poi, signorina, vuol dire starsene a casa, rispettare il padre e non pensare ai fidanzati prima del tempo. I fidanzati, signorina, a suo tempo si troveranno… ecco com'è  Certamente, bisogna possedere, ciò è indiscutibile, varie capacità, come: suonare a volte il pianoforte, parlare il francese, sapere la storia, la geografia, il catechismo e l’aritmetica… ecco com'è ... E di più non occorre. Oltre a ciò, anche la cucina; senza fallo nella cerchia delle cognizioni di ogni ben costumata fanciulla deve entrar la cucina! Qui invece che cosa abbiamo? In primo luogo, bellezza mia, egregia signorina mia, non vi lasceranno uscire, e vi faranno inseguire, e poi sotto chiave, in un monastero. E allora, signorina mia? Allora che vorrete che io faccia? Mi ordinerete, signorina mia, secondo certi stupidi romanzi, di venire sulla prossima collina a sciogliermi in lacrime, guardando le fredde mura della vostra prigione, e infine di morire, secondo l’abitudine di certi pessimi poeti e romanzieri tedeschi? È così, signorina? Sì, in primo luogo, permettetemi di dirvi amichevolmente che le cose non si fanno così; in secondo luogo, frusterei a dovere voi e anche i genitori vostri, perché vi hanno lasciato leggere dei librucci francesi; giacché i librucci francesi non insegnano il bene. Lì, c’è un veleno… un veleno pestifero, signorina mia! Oppure voi pensate, permettete che ve lo domandi, oppure voi pensate che, diciamo, così e così, fuggiremo impunemente e poi quello… diciamo, eccovi la capannuccia sulla riva del mare; e poi cominceremo a tubare e a ragionar di svariati sentimenti e così trascorreremo anche tutta la vita, in agiatezza e felicità; e poi verrà al mondo un piccolino, e allora noi di quello… diremo, è così e così, genitore nostro e consigliere di stato, Olsufij Ivànovič, ecco, diremo, è venuto un piccolino, e così voi in questa buona occasione ritirate la maledizione e benedite la coppia? No, signorina, e ancora una volta, le cose non si fanno così, e la prima cosa è che il tubare non ci sarà, non vogliate sperarlo. Oggigiorno il marito, signorina mia, è il padrone e una buona, bene educata moglie deve compiacerlo in ogni cosa. E le tenerezze, signorina, oggigiorno non piacciono, nel nostro secolo industriale; sono passati, dicono, i tempi di Jean Jacques Rousseau. Il marito, per esempio, oggidì viene affamato dall'ufficio;  animuccia, dice, non c’è qualche cosa per fare uno spuntino, un po’ di vodka da bere, un’aringhetta da mangiare? E così voi, signorina, dovete aver subito pronte un po’ di vodka e l’aringhetta. Il marito farà il suo spuntino con appetito, e a voi non getterà neanche uno sguardo, ma dirà: va’ un po’, dirà, in cucina, micetta mia, e bada al desinare e tutt’al più vi bacerà una volta alla settimana, e anche allora con indifferenza… Ecco com'è  secondo noi, signorina mia! E anche allora con indifferenza, dico!... Ecco come sarà, se si deve ragionar così, se ormai a questo si è arrivati, che si debba cominciar a vedere la cosa, ecco, a questa maniera…»

"Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi"), pp. 323,324, 325
Ivan Kramskoj - Portrait of E. Vasilchikova (1867)





giovedì 9 maggio 2013

L’incubo di Goljadkin


"Ora il signor Goljadkin sognava di trovarsi in un’ottima compagnia, nota per la sua arguzia e per i modi distinti di tutte le persone che la componevano; sognava che il signor Goljadkin, a sua volta,  si era segnalato in fatto di gentilezza e  di arguzia che tutti l’avevano preso a benvolere, perfino alcuni dei nemici suoi, che eran pure lì, l’avevano preso a benvolere, il che era molto gradito al signor Goljadkin; che tutti gli avevano assegnato il primato, e infine che  il signor Goljadkin in persona aveva udito con compiacenza come lì stesso il padrone di casa, tirato in disparte qualcuno degli ospiti, aveva lodato il signor Goljadkin… e d’un tratto, che è che non è, era nuovamente comparso il personaggio noto per le sue  male intenzioni e i suoi bestiali impulsi, sotto l’aspetto del signor Goljadkin minore, e lì stesso, di colpo, in un batter d’occhio, con la sua sola apparizione, il Goljadkin minore aveva demolito tutto il trionfo e tutta la gloria del signor Goljadkin maggiore, eclissato con la sua persona il Goljadkin maggiore, calpestato nel fango Goljadkin maggiore e infine chiaramente provato che il Goljadkin maggiore non era affatto quello che sembrava, ma era e questo e quello e, di conseguenza, non doveva e non aveva il diritto di appartenere alla società delle persone benintenzionate e di belle maniere.  E tutto ciò era accaduto a tal segno rapidamente che il signor Goljadkin maggiore non aveva neppur fatto in tempo ad aprir bocca, che già tutti si erano dati anima e corpo allo scandaloso e falso signor Goljadkin e col più profondo disprezzo avevano respinto lui, il vero e innocente signor Goljadkin. Non restava più una persona, nemmeno la più insignificante di tutta la compagnia, a cui l’inutile e falso signor Goljadkin non si fosse strofinato a modo suo, nella maniera più sdolcinata, a cui non avesse fatto la corte a modo suo, davanti alla quale non avesse bruciato, al suo solito, un qualche incenso dei più gradevoli e dolci, cosicché la persona incensata annusava soltanto e starnutiva fino alle lacrime, in segno di supremo piacere. E, soprattutto, ciò avveniva in un attimo: la rapidità di mosse del sospetto e inutile signor Goljadkin era meravigliosa! Ha appena avuto il tempo, per esempio, di strofinarsi  a uno, di guadagnarne la benevolenza, e in meno d’un batter d’occhio eccolo già presso un altro. Liscia, liscia quest’altro alla chetichella, strappa un sorrisino di condiscendenza, spara un calcetto con la sua gambetta cortina, tondella, abbastanza rigidetta del resto, ed eccolo già con un terzo, e già corteggia il terzo e liscia amichevolmente anche lui; non hai il tempo di aprir la bocca, di piombare dallo stupore, che lui è già presso un quarto, e col quarto è già negli stessi rapporti; è un orrore: una stregoneria, e basta! E tutti sono lieti di vederlo, e tutti lo amano, e tutti lo decantano, e tutti proclamano in coro che la sua gentilezza e la tendenza satirica del suo ingegno sono incomparabilmente superiori alla gentilezza e alla tendenza  satirica del vero signor Goljadkin,  e in tal modo svergognano il vero e innocente signor Goljadkin, e respingono il verosimile signor Goljadkin, e già cacciano a urtoni il bene intenzionato signor Goljadkin, noto per il suo amor del prossimo!... Pieno di angoscia, di orrore, di furore, il martoriato signor Goljadkin corse fuori sulla via e cercò di noleggiare una vettura per volare direttamente da sua eccellenza, e, se non da lui, almeno da Andréj Filìppovič, ma… orrore! I vetturini in nessun modo acconsentivano a portare il signor Goljadkin: «Non è possibile, signore, dicevano, portare due persone perfettamente simili; una brava persona cerca di vivere secondo onestà, e non in qualunque maniera, e non ha mai doppia esistenza»In una frenesia di vergogna il perfettamente onesto signor Goljadkin si guardava intorno, e in realtà si sincerava egli stesso, coi propri occhi, che i vetturini e Petruška, messosi in combutta con loro, erano tutti nel loro diritto; giacché il depravato signor Goljadkin si trovava realmente pure lì, accanto a lui, a non grande distanza da lui e, seguendo le vili consuetudini dell’indole sua anche lì, anche in quel critico caso senza fallo si accingeva a fare qualcosa di oltremodo sconveniente, che non rivelava per nulla la speciale nobiltà di carattere che si riceve di solito con l’educazione: nobiltà di cui tanto si gloriava a ogni favorevole occasione il ripugnante signor Goljadkin secondo. Senza aver coscienza di sé, pieno di vergogna e di disperazione, il perduto e assolutamente retto signor Goljadkin si diede a correre: dove lo portavan le gambe, in balìa del destino, all’impazzata; ma ad ogni suo passo,  a ogni colpo della sua gamba sul granito del marciapiede, balzava fuori, come di sottoterra, un altro perfettamente simile e, per la depravazione del cuore, ripugnante signor  Goljadkin. E tutti questi individui perfettamente simili, subito dopo la loro apparizione, si buttavano a correre uno dietro l’altro, e in una lunga serie, come una fila di oche, si stendevano e arrancavano dietro il signor Goljadkin maggiore, cosicché venne infine al mondo uno spaventoso visibilio d’individui perfettamente simili… cosicché tutta la capitale fu infine stipata di quei perfetti simili, e un agente di polizia, vedendo una tale offesa al decoro, fu costretto a prendere tutti quei perfetti simili pel bavero e a cacciarli in una garitta che si trovava per caso al suo fianco… Intorpidito e agghiacciato dall’orrore, sentiva che anche nella veglia si passava il tempo ben poco più allegramente…. Provava una sensazione penosa, tormentosa… Lo assaliva un’angoscia tale, come se qualcuno gli rosicchiasse il cuore nel petto…"

Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi"), pp.272,273,274



Copia di "Riproduzione vietata"di R. Magritte
(da https://www.flickr.com/photos/rokepaintsportraits/4084910401)




sabato 4 maggio 2013

Contestualizzazione

 «E con l'impostura e l'impudenza, egregio signore, nel nostro secolo non si fa presa. L'impostura e l'impudenza, egregio signor mio, non portano a nulla di bene, ma conducono al capestro. Griška Otrep'ev (monaco che si fece passare per Dimitrij, figlio di Ivàn il Terribile, n.d.r.) soltanto, signor mio, riuscì con l'impostura, ingannando un popolo cieco, ma anche lui non per lungo tempo (riuscì a togliere il trono a Borìs Godunòv e perì tragicamente due anni dopo, n.d.r.) . »

"Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi")

Eh, signor Goljadkin, eh Fëdor, se vedeste, ora!



Quant'è bella giovinezza?


Tutta quest'enfasi sulla gioventù... non mi va», osservò. «Senti, tu sai quanto possa essere tragico essere giovani, così non rifilarmi la storia che è meraviglioso. Tutti quei ragazzi che venivano da me con le loro contraddizioni, le loro lotte, il senso d'inadeguatezza, la convinzione che la vita fosse miserevole, tanto disastrosa da indurli al suicidio...»
[...]
Sì, convenni, ma se invecchiare è tanto appetibile, perché tutti dicono: «Oh, se fossi ancora giovane!» Non si sente mai nessuno che dica: «Mi piacerebbe avere sessantacinque anni».
Fece un sorriso. «Sai cosa rivela? Vite insoddisfatte. Vite inappagate. Vite che non hanno avuto senso. Se la tua vita ha un senso, non vuoi certo tornare indietro, ma proseguire, andare avanti. Vuoi vedere, fare altre cose. Sei ansioso di arrivare a sessantacinque anni.»"



I miei martedì col professore, Mitch Albom, pp. 122,123,124  Biblioteca Universale Rizzoli





mercoledì 27 marzo 2013

Il nonsenso della vita


"Vide [...] la folla lungo il percorso: i pugni alzati, le facce stravolte con le bocche spalancate a insultare e a maledire e a invocare una morte, la sua morte! Proseguendo verso porta S. Gaudenzio, s'accorse che per non sentire quelle grida bastava non ascoltarle. Guardava i volti e  i corpi degli uomini là fuori come avrebbe guardato dei pesci in una boccia di vetro; li vedeva lontani e anche strani, anzi si meravigliava di non avere mai fatto caso a quei dettagli che ora le sembravano così assurdi, di non essersi mai stupita in precedenza di quelle forme, considerandole - come tutti - inevitabili, e assolutamente sensate! Di averle sempre credute... normali! Quei cosiddetti nasi, quelle orecchie... Perchè eran fatte così? Quelle bocche aperte, con dentro quei pezzi di carne che si muovevano... che insensatezza! Che schifo! E quell'espressione incontenibile di odio, da parte di individui che fino a pochi giorni prima non sapevano nemmeno che lei esistesse e ora volevano il suo sangue, le sue viscere, reclamavano d'ammazzarla loro stessi, lì sul momento e con le loro mani... C'era forse un senso, una ragione in tutto questo? E se non c'era, perchè accadeva? Ecco, pensava: io sto qui, e non so perchè sto qui; loro gridano, e non sanno perchè gridano. Le sembrava di capire, finalmente!, qualcosa della vita: un'energia insensata, una mostruosa malattia che scuote il mondo e la sostanza stessa di cui sono fatte le cose [...].
Anche la tanto celebrata intelligenza dell'uomo non era altro che un vedere e non vedere, un raccontarsi vane storie più fragili d'un sogno: la giustizia, la legge, Dio, l'Inferno... 
«Maledetta strega! Devi crepare! A morte! Al rogo!»"

Sebastiano Vassalli - "La chimera", p.291-292 edizione Einaudi



venerdì 15 marzo 2013

Una strada a sé

« - Uhm! Io dico - interruppe il dottore - che voi avete bisogno di una radicale trasformazione di tutta la vostra vita e, in certo senso, di far violenza al vostro carattere. - Krest'jàn Ivànovic accentuò con forza la parola 'violenza' e si fermò per un momento con aria assai significativa. - Non rifuggire dal far vita allegra, frequentare gli spettacoli e il circolo e, in ogni caso, non esser nemico della bottiglia. Restare in casa non serve... voi non dovete assolutamente stare in casa. 

 - A me, Krest'jàn Ivànovic, piace la quiete - disse il signor Goljadkin dando uno sguardo significativo a Krest'jàn Ivànovic  e cercando evidentemente le parole per esprimere nel modo più felice il suo pensiero – in casa ci sono soltanto io, con Petruška… voglio dire, il mio servo, Krest'jàn Ivànovic. Voglio dire, Krest'jàn Ivànovic, che io faccio la mia strada, una strada a sé, Krest'jàn Ivànovic. Me ne sto per conto mio e, per quanto mi sembra, non dipendo da nessuno. […] Io, Krest'jàn Ivànovic, sono una persona pacifica, come già, mi pare, ho avuto l’onore di spiegarvi, la mia strada però se ne va per conto suo, Krest'jàn Ivànovic. Il cammino della vita è largo…  […] Scusatemi, Krest'jàn Ivànovic, io non sono un maestro di eloquenza.

-Uhm!... voi dite…

- Io dico che dovete scusarmi, Krest'jàn Ivànovic, se io, per quanto mi pare, non sono un maestro di eloquenza- disse il signor Goljadkin con un tono mezzo offeso perdendo il filo e confondendosi. – Da questo lato io, Krest'jàn Ivànovic, non sono come gli altri – soggiunse con un certo sorriso speciale . e non so parlar molto, non ho imparato ad abbellire il discorso. In compenso io, Krest'jàn Ivànovic, agisco; in compenso agisco, Krest'jàn Ivànovic!

- Uhm!... Come dunque… voi agite? […]

- […] Io, Krest'jàn Ivànovic, amo la tranquillità, e non il rumore mondano. Là da loro, dico, nel gran mondo, Krest'jàn Ivànovic, bisogna saper lustrare i pavimenti con gli stivali… - qui il signor Goljadkin strisciò un pochino il piede per terra – là esigono questo, ed esigono anche la freddura… bisogna saper mettere insieme un complimento profumato… ecco quello che là si esige. E io questo non l’ho imparato, Krest'jàn Ivànovic; tutte queste finezze non le ho imparate; non ne ho avuto il tempo. Io sono una persona semplice, senza complicazioni, e lustro esteriore in me non ce n’è. In queste cose, Krest'jàn Ivànovic, io poso le armi; io, parlando in questo senso, le depongo. – Tutto ciò il signor Goljadkin lo disse, s’intende, con una cert’aria che dava chiaramente a capire che al nostro eroe non rincresceva affatto di deporre, in questo senso, le armi e di non aver imparato le finezze, tutto all’opposto anzi. »

"Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi")



sabato 23 febbraio 2013

Vivere nella propria testa


Come ho già fatto in precedenza, mi piace mettere a confronto i contenuti di due libri differenti di due rami ben distinti del sapere, che guardino però allo stesso tema: in questo modo si può guardare a esso da due punti di vista differenti.


"«E infine sono molti quelli che hanno trovato il lavoro giusto? E poi c'è lavoro e lavoro: il lavoro che richiede mezzi di sussistenza e capitali, il lavoro al quale non si è portati; ed allora si rinunzia ed ecco che il lavoro cade dalle mani. Allora nei caratteri avidi di fare ma deboli, femminei, delicati, a poco a poco nasce ciò che si chiama mečtàtel'stvo [fantasticheria, inclinazione a perdersi nei sogni] e l'uomo finisce per diventare non un uomo, ma un certo strano essere di genere neutro». «Sono un sognatore, ho così poco di vita reale» dice il protagonista de 'Le notti bianche' e, conseguentemente, l'ambiente reale nel quale si svolge la sua vita d'ogni giorno non appare nel racconto, l'atmosfera del quale è saturata dalle proiezioni fantastiche del protagonista."

M.B. Luporini, Introduzione ai "Racconti e romanzi brevi" di Dostoevskij




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"Fondamentali processi del sistema nervoso centrale possono aver luogo anche in assenza di uno stimolo sensoriale e senza dar luogo a una risposta misurabile. Ne sono esempio il sogno e il pensiero, funzioni cerebrali complesse che possono aver luogo interamente all'interno del sistema nervoso centrale."

D.U. Silverthorn, "Approccio integrato alla fisiologia umana"



sabato 2 febbraio 2013

Lo studente Pokrovsky

"Presto smisi di studiare con Pokrovsky. Mi giudicava una bambina, come prima, una bambina vivace alla stregua di Sascia, e ciò mi addolorava molto, perché mi adoperavo con tutte le forze per riparare alla condotta precedente; ma non mi notava, e la cosa m’irritava sempre più.
Non avevo mai parlato con Pokrovsky, tranne che alle lezioni, e neanche potevo parlargli: arrossivo, mi confondevo; poi,  in qualche angolo, piangevo per la stizza.
Non so come sarebbe finito tutto questo, se una strana circostanza non avesse aiutato il nostro riavvicinamento. Una volta, di sera, mentre la mamma si trovava con Anna Fjodorovna, entrai  adagio nella camera di Pokrovsky; sapevo che non era in casa, e invero non so come mi fosse venuto in mente d’entrare da lui. Sin allora non v’avevo neppure gettato uno sguardo, benché vivessimo accanto da ormai un anno; […]
Mi venne una strana idea, e nello stesso tempo un senso di stizza mi dominava: mi sembrava che la mia amicizia, il mio cuore affezionato fossero poca cosa per lui; era istruito, lui, e io ero una stupida e non sapevo niente, non avevo letto niente, nemmeno un libro… […]
Mi venne il desiderio , e subito decisi di leggere tutti i suoi libri, a uno a uno e al più presto possibile: non so, forse pensavo che, imparando tutto quello che sapeva lui, sarei stata più degna della sua amicizia. Mi lanciai sul primo palchetto; senza pensare, senza esitare afferrai il primo polveroso volume che mi capitò nelle mani, e arrossendo, impallidendo, tremando d’agitazione e di paura, mi portai via il libro rubato, avendo deciso di leggerlo di notte, al lume della lampada, mentre la mamma dormiva. Ma come fui delusa quando, rientrata in camera mia, mi accorsi, sfogliando affrettatamente il libro, che era una vecchia opera latina, semimarcita, tutta rosicchiata dalle tarme. Tornai indietro senza perder tempo, e stavo già per mettere il libro nello scaffale, quando sentii un rumore nel corridoio e i passi di qualcuno che si avvicinava. […]
Non avevo forza sufficiente per far entrare il libro nella fila; nondimeno spinsi i volumi quanto più forte mi fu possibile. Un chiodo arrugginito, sul quale si appoggiava il palchetto, e che, pare, attendesse proprio quel momento per  rompersi, cedette. Il palchetto volò giù da un lato; i libri si sparsero con rumore sul pavimento: la porta si aprì e Pokrovsky entrò nella camera. […]
Avrei voluto fuggire, ma era tardi […] Pokrovsky s’arrabbiò terribilmente. […] Cominciò a gridare. “Be’, non vi vergognate di far tante monellerie? Vi calmerete una buona volta?” e si slanciò a raccogliere i libri. Mi chinai per aiutarlo. “Non occorre, non occorre proprio,”  riprese a gridare . “Avreste fatto meglio a non mettere il naso dove non siete pregata di andare.” Ma, nondimeno, un po’ addolcito dai miei umili movimenti, continuò più piano, in tono meno staccato […] “Via, quando comincerete a mettere un po’ di giudizio? Quando vi ravvederete? Guardatevi un po’, ormai non siete più una bambina, una bimbetta: ormai avete quindici anni” e qui, certo desiderando constatare con esattezza che, ormai,  non ero più una piccina, mi guardò e arrossì sino alle orecchie. Io non capivo, stavo davanti a lui e lo guardavo con gli occhi spalancati dallo sbalordimento. Si alzò, mi si avvicinò con aspetto turbato, si confuse terribilmente, disse qualcosa, forse si scusava di qualcosa, forse di accorgersi soltanto in quel momento che ero una giovinetta fatta; infine compresi. Non ricordo che cosa mi accadde allora, mi confusi, mi persi d’animo, arrossii ancor più di Pokrovsky, mi coprii il viso con le mani e scappai dalla stanza."

("Povera gente", Fëdor Dostoevskij, ed. Biblioteca Universale Rizzoli, pp.76-78 )




venerdì 2 novembre 2012

Pavlovič il disgustoso

«"Giudicate voi stesso: Fedosej Petrovič ha otto ragazze e soltanto un maschio di pochi anni. Se muore oggi, rimane soltanto una misera pensioncina. E quelle otto ragazze, no, giudicate voi, giudicate: anche solo comprare le scarpe ad ognuna di loro, che somma ne viene fuori! Delle otto ragazze, cinque sono già da marito, la maggiore ha ventiquattro anni (una ragazza incantevole, come vedrete voi stesso!) e la sesta ne ha quindici, va ancora al ginnasio. Così per le cinque maggiori bisogna trovare un partito, il che, possibilmente, va fatto al più presto, quindi il padre le deve portare in società... quanto costa tutto ciò, lo domando a voi? E all'improvviso mi faccio avanti io, sono il primo candidato in casa loro, mi conoscono con cognizione di causa, cioè nel senso che ho effettivamente una sostanza. Ed ecco tutto."
Pavel Pavlovič aveva parlato con trasporto.
- Avete chiesto la mano della maggiore?
- N-no, ...non della maggiore; ho chiesto la mano della sesta, di quella che ancora studia al ginnasio.
- Come? - sorrise involontariamente Vel'čaninov, - ma se avete detto che ha quindici anni!
[...]
La sensazione disgustosa e ostile era tornata in lui dopo il momentaneo divertimento provato nel sentire le chiacchiere di Pavel Pavlovič sulla fidanzata.»

("L'eterno marito", Fëdor Dostoevskij, ed. L'Unità - Einaudi, pp.102-103)