domenica 28 marzo 2021

Sergej Esenin: svegliare la sensazione della poesia

Esenin è un poeta di cui sono innamorata, dalle sue "Confessioni di un teppista", scoperte tramite la meravigliosa versione musicata di Angelo Branduardi, "Confessioni di un malandrino".
In questo passo del libro si coglie la sua essenza.
Libro sulla poesia eseniana, prestatomi da un'amica appena conosciuta nel Dicembre 2019 e ancora in mio possesso.
Mi è tanto piaciuto al punto da spingermi a riprendere questo blog di citazioni letterarie oramai abbandonato da 10 anni.

 "Certo a Kostantinovo non giungevano che smorzate e lente, più lievi che echi, le notizie della vita di Russia, vicende e fatti delle lontane province avevano soltanto valore di racconto, quasi di imprese e avventure di un mondo straniero. Così, i contatti veramente vitali, sanguigni, si stringevano piuttosto che con esse, con le storie minime e quotidiane di un luogo di campagna posto ai confini del mondo.
I giorni del giovane Sergio si legavano ai fatti paesani, alle storie e leggende raccontate la sera, agli avvenimenti piccolissimi di una quieta esistenza contadina. Entravano nella sua vita gli elementi stessi del tempo contadino. Della gente di terra, a cui apparteneva, gli rimase sempre la facoltà di paragone e giudizio, la sorte di sentirsi estraneo appena fuori del cerchio delle voci del proprio villaggio, quella ostilità sorda, anche se dimessa e innocente, verso gli «altri uomini».

Ilja Erhemburg parla di lui, a Mosca, come di una visione. Gli occhi celesti estatici del sognatore vagabondo e sperduto, l'aria lontana e sofferente del provinciale, se non intimidito dalla città, certo estraneo e nemico e giudice dei cittadini, dei costumi, dell'aria stessa della città.
Fino al suo primo incontro con la poesia, nulla gli era avvenuto. Nessuna sensazione di un domani diverso, nessun dubbio sulla propria felicità. Tranquilla vita a Kostantinovo di un ragazzo russo coi compagni e le bestie, le abitudini millenarie della gente povera, i paesaggi immobili e ripetuti della campagna. Gli studi ripresi e rotti più volte, come accadeva sovente nei villaggi, ove il lavoro e l'indigenza costringevano i ragazzi anche volenterosi (e tra questi non era Sergio) ad abbandonare i libri in soccorso alle mani paterne.

Fu un vecchio libro di poesie e leggende popolari a svegliare in lui la sensazione della poesia. L'incontro casuale lo commentò assieme al nonno, come di una cosa straordinaria, una scoperta da ragazzi: «Allora per la prima volta -  m'imbattei nella rima - dalla febbre dei sentimenti - avevo il capogiro... Anni lontani, come in una nebbia - riodo il nonno dirmi con tristezza: - Serve a niente, ma se ti piace, scrivi di frumento - e soprattutto di cavalle...». A questo incredibile testamento poetico dell'avo, Serghej serbò fede per tutta la vita.
Dall'incontro con la poesia nacquero nella mente del ragazzo i sogni più colorati «di  gloria, di ricchezza - perfino di un monumento a Riazan...»
.
Fu con questo esilissimo bagaglio di esperienza che il ragazzo Serghej Alexandrovic Esenin non ancora diciassettenne lasciò Riazan e se ne arrivò a Pietroburgo. Si era alla vigilia della grande guerra.

È noto il richiamo che le due grandi città russe esercitavano nelle province, specie sui giovani. La vita intensa e varia, i molteplici interessi, la vivacità delle discussioni, quel ritmo rapido sognato avevano sempre costituito un miraggio già dai tempi più antichi. Dinanzi alla luce che splendeva in esse, le cittadine, per non dire dei paesi e i villaggi, parevano luoghi deserti ove nulla poteva accadere a mutare il corso degli avvenimenti, sempre uguali e monotoni. Abitare in una delle due città costituiva già di per sè un titolo di riconoscimento."

 da "Serghej A. Esenin L'estremo cantore dell'antica Russia di fronte alla rivoluzione" di Giovanni Arpino


 

 

venerdì 4 luglio 2014

Scrivo, lei ha scritto

«Sospetto che tutto quanto è successo non sia stato fortuito, ma che corrisponda a un destino disegnato prima della mia nascita ed Esteban García è parte di questo disegno. È un tratto rozzo e contorto, ma nessuna pennellata è inutile. Il giorno in cui mio nonno gettò a terra tra le erbacce del fiume sua nonna, Pancha García, aggiunse un altro anello a una catena di eventi che dovevano compiersi. Poi il nipote della donna violentata ripeté il gesto con la nipote del violentatore e tra quarant’anni può darsi che mio nipote getti a terra fra i cespugli del fiume la sua e così via, per i secoli a venire, in una storia interminabile di dolore, di sangue e di amore. Nella cella d’isolamento mi era parso di combinare un rompicapo in cui ogni pezzo ha un posto preciso. Prima di sistemarli tutti, mi sembrava incomprensibile, ma ero sicura che, se riuscivo a finirlo, avrei dato un senso a ciascuno e il risultato sarebbe stato armonioso. Ogni pezzo ha una ragione di essere così com’è, compreso il colonnello García. Ogni tanto ho la sensazione che questo l’ho già vissuto e che ho già scritto queste stesse parole, ma capisco che non sono io, bensì un’altra donna, che aveva preso appunti sui quaderni affinché io me ne servissi. Scrivo, lei ha scritto, che la memoria è fragile e il corso di una vita è molto breve e tutto avviene così in fretta, che non riusciamo a vedere il rapporto tra gli eventi, non possiamo misurare le conseguenze delle azioni, crediamo nella finzione del tempo, nel presente, nel passato, nel futuro, ma può anche darsi che tutto succeda simultaneamente, come dicevano le tre sorelle Mora, che erano capaci di vedere nello spazio gli spiriti di ogni epoca. Per questo mia nonna Clara scriveva nei suoi quaderni, per vedere le cose nella loro dimensione reale e per schernire la cattiva memoria.»


“La casa degli spiriti”, Isabel Allende,  Universale Economica Feltrinelli, p.363


mercoledì 9 ottobre 2013

L'invenzione del matrimonio

"Orlando non riusciva a supporre altro, se non che fosse stata fatta una qualche nuova invenzione riguardo la razza umana; che quella gente fosse stata saldata insieme, coppia a coppia; ma chi l'avesse fatto,e quando, questo lo ignorava. Non pareva stata la Natura. Se osservava i colombi o i conigli o i suoi levrieri, non le sembrava che la Natura avesse mutato i loro costumi. [...]. Tra gli animali non esistevano legami indissolubili. Era stata la regina Vittoria allora? O Lord Melbourne? Proveniva dunque da loro, la grande invenzione del matrimonio? [...]
Tutta mesta se ne stava alla finestra del 'salotto' (così la Bartholomew aveva battezzato la biblioteca); e il peso della crinolina che remissivamente aveva adottato l'attirava a terra, Mai aveva indossato un abito tanto pesante, tanto cupo, che l'avesse impacciata a tal segno. Ora sì che aveva finito di correre in giardino coi suoi cani, o di salire leggera l'erta della collina, per andarsi a gettare sotto la quercia [...]. Diventava apprensiva, vedeva dei ladri nascosti negli anditi, e per la prima volta in vita sua ebbe paura dei fantasmi nell'aggirarsi per i corridoi. Tutte queste cose la resero proclive a riconoscere, a poco a poco, la nuova invenzione, sia che fosse della regina Vittoria o di qualcun altro; cioè, che ogni uomo, ogni donna ha un compagno nella vita, il quale gli è predestinato, che protegge o da cui è protetto, sino all'istante in cui la morte li separerà. E sentiva che sarebbe stato un grande conforto potersi appoggiare; sedersi; anzi, coricarsi; e non levarsi mai, mai, mai più. Ecco come lo spirito agiva su di lei, malgrado tutto il suo passato orgoglio [...]."

Come mai Orlando, abituata all'avventura, dopo lo scherzo della rana nel colletto dell'Arciduca, sembra convincersi a sposarsi? Come mai lei, inorridita dal cattivo gusto delle coppie saldate assieme, comincia ad osservare apprensivamente le fedi nuziali della gente che la circonda? Come mai si cruccia della propria solitudine, pur non sapendo scegliere alcuno con cui ammaritarsi? "Non era Orlando che parlava, ma lo spirito del tempo" dice Virginia.


'Orlando', V. Woolf, edizione Oscar Mondadori

martedì 13 agosto 2013

Paesaggio notturno prima di un'esecuzione

"I tre moschettieri" di Alexandre Dumas: sebbene si tratti di un classico inserito nella letteratura per ragazzi, mi ha molto divertito come lettura di svago nella calura estiva. In particolare, mi è piaciuta molto una descrizione essenziale ed efficace, senza leziosità e non prolissa, che dipinge la scena poco prima dell'esecuzione di Milady:

"Era circa mezzanotte. La falce di luna calante, rossa per le ultime tracce del temporale, si alzava dietro il borgo di Armentières. Il profilo delle case e lo scheletro di un alto campanile risaltavano nella luce pallida. Di fronte scorrevano le acque della Lys, simili a flutti di stagno fuso, mentre sull'altra riva si vedeva la massa nera degli alberi stagliarsi contro un cielo temporalesco, invaso da nuvoloni color rame che davano l'illusione del crepuscolo a notte fonda. A sinistra si ergeva un vecchio mulino abbandonato, dalle cui rovine una civetta mandava il suo grido acuto, regolare e monotono. Qua e là, nella pianura, a destra e a sinistra della strada percorsa dal lugubre corteo, apparivano alcuni alberi bassi e tozzi: sembravano nani deformi, accovacciati a spiare gli uomini in quell'ora sinistra.
Di tanto in tanto un grande lampo squarciava l'orizzonte in tutta la sua larghezza, serpeggiava sopra la massa nera degli alberi e, come una spaventosa scimitarra, tagliava in due il cielo e l'acqua. Neppure un soffio di vento muoveva l'aria. Un silenzio di morte passava su tutta la natura; il terreno era umido e scivoloso per la pioggia; le erbe, rianimate, spandevano un profumo più acuto."

(da "I tre moschettieri", Alexandre Dumas, edizione DeAgostini classici, pp.243-244)


lunedì 1 luglio 2013

Emancipazione di Carmen Morales

Diverso tempo fa, a casa di un amico mi colpì molto la copertina di un libro che giaceva solitario fra gli scaffali bianchi. Provai un richiamo inspiegabile per la grafica bianca ingiallita con dei disegni arancioni e poi per il titolo, lo presi e su due piedi cominciai a leggerlo senza ordine, per pura curiosità.
Me lo feci imprestare, ma era di tutt'altro genere rispetto a ciò che leggevo in quel periodo; andò a finire che dopo un anno circa restituii il libro al mio amico avendone letti solo alcuni stralci e alcune pagine finali.
Ricopiai  però l'episodio narrato nel finale su un quaderno che uso per le citazioni.
Da allora, di tanto in tanto, mi è capitato di rileggerlo, col risultato di rinnovare la curiosità nei confronti di questa lettura.
Il mese scorso in biblioteca, mentre tentavo di studiare distratta dai dorsetti dei libri di narrativa tutt'attorno, sono di nuovo incappata in questo titolo, in una veste diversa questa volta: una copertina azzurra con un'opera minimale, comunque piuttosto emblematica come la precedente.
Avevo appena concluso un libro, così mi sono decisa a prenderlo in prestito.
"Il piano infinito" di Isabel Allende non mi delude affatto, avrei dovuto leggerlo per intero quella volta, ma forse non era ancora il momento giusto.
Il racconto delle vicende di Gregory Reeves, che si alterna fra narrazione in terza persona ed io narrante, tocca tanti temi e involve tante altre storie.
Non è difficile ritrovare un senso di familiarità con questi personaggi, soprattutto se si ha una mente curiosa e si è nati in periferia senza troppe possibilità.
Devo ancora terminarlo ma, come ho detto, il finale lo conosco già.
Quello che conta ora è il viaggio attraverso la vita di Greg e sono sicura che la nipote del presidente Allende non mi deluderà, anzi!
Di seguito, due passi del libro fra i miei preferiti:


"L'uomo coltivò in lui la passione per determinati autori e ogni volta che Gregory formulava una domanda, lo invitava a cercare da sé la risposta, così imparò a usare enciclopedie, dizionari e altri strumenti della biblioteca. Se non trovi la soluzione,  consulta i giornali vecchi, gli consigliò. Davanti ai suoi occhi si aprì un vasto orizzonte, per la prima volta gli parve possibile uscire dal quartiere, non era condannato a restare sepolto lì per il resto dei suoi giorni, il mondo era immenso, si svegliò in lui la curiosità e il desiderio di vivere le avventure che prima si accontentava di vedere al cinema." (p. 104)



"La sua natura appassionata si infrangeva contro il doppio codice morale che mutava le donne in prigioniere e, al contrario, dava licenza di caccia agli uomini. Doveva difendere la sua reputazione perché qualunque ombra poteva scatenare una tragedia, il padre e i fratelli la sorvegliavano gelosamente, disposti a difendere l'onore della casa, e allo stesso tempo cercavano di fare con altre donne quello che non avrebbero mai permesso di fare alle donne del loro sangue. Carmen aveva uno spirito indomito, ma in quel periodo era ancora prigioniera nella ragnatela del che cosa diranno. Temeva soprattutto suo padre, poi l'esplosivo Padre Larraguibel e Dio, nell'ordine suddetto, e infine le male lingue, capaci di rovinare il suo futuro. Come tante altre ragazze della sua generazione, fu allevata secondo l'assioma che il matrimonio e la maternità erano il destino più perfetto - si sposarono, ebbero molti figli e vissero felici e contenti - però attorno a sé non aveva un solo esempio di felicità domestica, neppure i suoi genitori, che rimanevano uniti perché non potevano immaginare altra alternativa, ma erano ben lontani dall'imitare le romantiche coppie del cinema. Non li aveva mai visti scambiarsi una carezza e si vociferava che Pedro Morales avesse avuto un figlio da un'altra donna. No, non era questo che lei desiderava per . Continuava a sognare, come nell'infanzia, una vita diversa e avventurosa, ma non aveva il coraggio di rompere con il suo ambiente e uscire da lì." (pp. 120-121, edizione I Narratori/ Feltrinelli, 1992)
Grafica dell'edizione I Narratori/Feltrinelli, 1992 (In the mind's eye di Andrzej Dudzinski, particolare)
Grafica dell'edizione Universale Economica Feltrinelli, 2008




giovedì 13 giugno 2013

Indietro nel tempo

Un passo che mi ha molto colpito - e a quanto pare non solo me -  in un libro contemporaneo nomina e descrive dettagliatamente quattro quadri di cui ero ignara. Mi piace molto il senso dell'opera e come è inserita nella vicenda narrata dal libro:

"Poi sono entrato in una saletta in cui c'erano solo quattro quadri, e mi sono ricordato di averli già visti quando ero stato in gita scolastica con la terza media. Sono di Thomas Cole e s'intitolano "Il viaggio della vita" [...]. Sono dei quadri molto leziosi, un po' stupidi. Rappresentano le quattro età dell'uomo: infanzia, giovinezza, virilità e vecchiaia. In ogni quadro c'è una figura su una barca che naviga su un fiume, guidata da un angelo. 
"Infanzia"
Nel primo, Infanzia, c'è un bambino piccolo e la barca spunta da una caverna buia, il grembo materno. È mattino presto e il fiume scorre calmo attraverso una valle idilliaca piena di fiori. L'angelo è sulla barca, in piedi dietro al bambino, e hanno tutti e due le braccia tese verso il mondo a cui vanno incontro. 
"Giovinezza"
In Giovinezza è mezzogiorno e la barca si è addentrata nella bella valle. Il bambino si è trasformato in un ragazzo e sta in piedi, le braccia tese verso il futuro. L'angelo è sulla riva e gli indica la strada come un vigile. Le nuvole hanno la forma di un castello fantastico, circondato dal cielo azzurro. 
"Virilità"
In Virilità le acque del fiume sono furiose, il paesaggio è arido, tutto rocce; il cielo al tramonto è pieno di nuvole temporalesche. Il ragazzo è diventato un uomo, sempre in piedi sulla barca, ma prega a mani giunte mentre la barca punta verso le rapide. L'angelo è lontano, da un'apertura fra le nuvole guarda la barca che corre in avanti. Fa venire i brividi. 
"Vecchiaia"
Nell'ultimo quadro la barca entra dal lato opposto della tela. È difficile dire che ora sia perché il cielo è tutto scuro, c'è solo un fascio di raggi di luce che filtra tra i nuvoloni. È un'ora indistinta fuori dal tempo. Il fiume sta per sfociare calmo in un enorme mare scuro. Nella barca è seduto un vecchio e l'angelo vola proprio sopra di lui, indicando il mare e il cielo bui. In lontananza c'è un altro angelo che guarda giù dalle nuvole. Le mani del vecchio sono sempre giunte, ma non si riesce a capire se sta pregando o se sta implorando l'angelo di salvarlo prima che prenda il largo in quella paurosa oscurità [...].”

Termina qui la parte descrittiva dell’opera (che ho trovato già riscritta sul blog http://chicco1963.blogspot.it/2007/07/il-viaggio-della-vita-opera-di-thomas.html e ne approfitto per ringraziarlo dopo il furto che ho compiuto), ma io mi sono sentita in dovere di riportare anche la parte introspettiva del protagonista, in quanto mi ci sono ritrovata e proprio a proposito di questo libro. 
Lo avevo letto all'inizio del mio primo anno all'università, dopo averlo trovato per caso in libreria e acquistato per un vero e proprio colpo di fulmine letterario. Adesso mi ritrovo a rileggerlo, sul finire della mia carriera da studente, ed è il primo libro cui riservo questo trattamento. Tutto ciò che vorrei aggiungere lo dice quanto segue:

“La prima volta che li ho visti, quando facevo la terza media, ho pensato che erano bellissimi. Sembravano molto profondi [...].
Quando li ho rivisti sono rimasto scioccato, […] mi pareva impossibile che quei quadri melensi fossero in mostra permanente alla National Gallery. E poi ho avuto questa sensazione irrazionale che non fossero sempre stati lì, ma che qualcuno, sapendo che ci sarei andato, li avesse riappesi alle pareti. Una specie di trappola, insomma. Ma sapevo che non era vero, che erano sempre stati in mostra in quei cinque anni, non di più, anche se a me sembrava passata una vita. Non si può andare indietro nel tempo, lo so, ma a me pareva di sì: è sparito tutto, i cinque anni e il mondo, e mi sono sentito come se fossi due persone. Sul serio. Sentivo quello che avevo provato a tredici anni e quello che provavo in quel momento […]. E poi mi sono agitato perché ho capito che volevo essere nell'ultimo quadro, Vecchiaia, nella barca che andava verso il buio. Volevo saltare quella della Virilità. L’uomo adulto era terrorizzato e non riuscivo a capire che senso aveva il suo viaggio: perché affrontare quelle rapide infide, su un fiume che sarebbe  comunque finito nell'oscurità, nella morte? Io volevo essere nella barca insieme al vecchio, con tutti i pericoli alle spalle e  l’angelo accanto che mi guidava verso la morte. Volevo morire.”

"Un giorno questo dolore ti sarà utile", Peter Cameron, pp.120, 121, 122; edizione Adelphi


sabato 18 maggio 2013

Donna nell'Ottocento russo


Diversi libri e le loro note trasposizioni cinematografiche avranno portato alcuni di noi a pensare quanto potesse  essere desiderabile vivere nell'Ottocento, immaginando abiti sontuosi, maniere eleganti, palazzi affrescati e feste da ballo.
Ma sentiamo cosa Dostoevskij fa dire in uno dei suoi monologhi mentali - solitamente deliranti ma, in questo caso, è molto lucido e realistico -  a Goljadkin, il “nostro eroe” ne ‘Il sosia’, mentre egli attende, bagnato fradicio dopo una tormenta di neve, accasciato su un ceppo accanto a un cumulo di legna, un segnale convenzionato di Klara Olsùf’evna, dopo aver ricevuto la di lei missiva:

«Ecco com'è,  signorina mia, sempre che vogliate saperlo. E in una capanna, signorina mia, dico, è così e così, nel nostro secolo nessuno ci vive. Ecco che cosa! E senza costumatezza nel nostro secolo industriale, signorina mia, non si fa presa, del che voi stessa servite ora di funesto esempio…
Occorre, dite, prestar servizio come capoufficio e vivere in una capanna, sulla riva del mare. In primo luogo, signorina mia, sulle rive del mare non ci son capiufficio. Poiché, mettiamo, per fare una supposizione, ecco, io inoltro una domanda, mi presento… dico, è così e così, fatemi capoufficio, dico… e difendetemi dal mio nemico… ma a voi diranno, signorina, diranno quello… di capiufficio ce ne sono già molti, e che voi qui non siete dall'emigrata Falbalà [nomignolo che Goljadkin affibbia all'istitutrice francese del collegio in cui ha studiato Klara Olsùf’evna, n.d.r.], dove avete imparato i buoni costumi, del che voi stessa servite di funesto esempio. I buoni costumi poi, signorina, vuol dire starsene a casa, rispettare il padre e non pensare ai fidanzati prima del tempo. I fidanzati, signorina, a suo tempo si troveranno… ecco com'è  Certamente, bisogna possedere, ciò è indiscutibile, varie capacità, come: suonare a volte il pianoforte, parlare il francese, sapere la storia, la geografia, il catechismo e l’aritmetica… ecco com'è ... E di più non occorre. Oltre a ciò, anche la cucina; senza fallo nella cerchia delle cognizioni di ogni ben costumata fanciulla deve entrar la cucina! Qui invece che cosa abbiamo? In primo luogo, bellezza mia, egregia signorina mia, non vi lasceranno uscire, e vi faranno inseguire, e poi sotto chiave, in un monastero. E allora, signorina mia? Allora che vorrete che io faccia? Mi ordinerete, signorina mia, secondo certi stupidi romanzi, di venire sulla prossima collina a sciogliermi in lacrime, guardando le fredde mura della vostra prigione, e infine di morire, secondo l’abitudine di certi pessimi poeti e romanzieri tedeschi? È così, signorina? Sì, in primo luogo, permettetemi di dirvi amichevolmente che le cose non si fanno così; in secondo luogo, frusterei a dovere voi e anche i genitori vostri, perché vi hanno lasciato leggere dei librucci francesi; giacché i librucci francesi non insegnano il bene. Lì, c’è un veleno… un veleno pestifero, signorina mia! Oppure voi pensate, permettete che ve lo domandi, oppure voi pensate che, diciamo, così e così, fuggiremo impunemente e poi quello… diciamo, eccovi la capannuccia sulla riva del mare; e poi cominceremo a tubare e a ragionar di svariati sentimenti e così trascorreremo anche tutta la vita, in agiatezza e felicità; e poi verrà al mondo un piccolino, e allora noi di quello… diremo, è così e così, genitore nostro e consigliere di stato, Olsufij Ivànovič, ecco, diremo, è venuto un piccolino, e così voi in questa buona occasione ritirate la maledizione e benedite la coppia? No, signorina, e ancora una volta, le cose non si fanno così, e la prima cosa è che il tubare non ci sarà, non vogliate sperarlo. Oggigiorno il marito, signorina mia, è il padrone e una buona, bene educata moglie deve compiacerlo in ogni cosa. E le tenerezze, signorina, oggigiorno non piacciono, nel nostro secolo industriale; sono passati, dicono, i tempi di Jean Jacques Rousseau. Il marito, per esempio, oggidì viene affamato dall'ufficio;  animuccia, dice, non c’è qualche cosa per fare uno spuntino, un po’ di vodka da bere, un’aringhetta da mangiare? E così voi, signorina, dovete aver subito pronte un po’ di vodka e l’aringhetta. Il marito farà il suo spuntino con appetito, e a voi non getterà neanche uno sguardo, ma dirà: va’ un po’, dirà, in cucina, micetta mia, e bada al desinare e tutt’al più vi bacerà una volta alla settimana, e anche allora con indifferenza… Ecco com'è  secondo noi, signorina mia! E anche allora con indifferenza, dico!... Ecco come sarà, se si deve ragionar così, se ormai a questo si è arrivati, che si debba cominciar a vedere la cosa, ecco, a questa maniera…»

"Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi"), pp. 323,324, 325
Ivan Kramskoj - Portrait of E. Vasilchikova (1867)





giovedì 9 maggio 2013

L’incubo di Goljadkin


"Ora il signor Goljadkin sognava di trovarsi in un’ottima compagnia, nota per la sua arguzia e per i modi distinti di tutte le persone che la componevano; sognava che il signor Goljadkin, a sua volta,  si era segnalato in fatto di gentilezza e  di arguzia che tutti l’avevano preso a benvolere, perfino alcuni dei nemici suoi, che eran pure lì, l’avevano preso a benvolere, il che era molto gradito al signor Goljadkin; che tutti gli avevano assegnato il primato, e infine che  il signor Goljadkin in persona aveva udito con compiacenza come lì stesso il padrone di casa, tirato in disparte qualcuno degli ospiti, aveva lodato il signor Goljadkin… e d’un tratto, che è che non è, era nuovamente comparso il personaggio noto per le sue  male intenzioni e i suoi bestiali impulsi, sotto l’aspetto del signor Goljadkin minore, e lì stesso, di colpo, in un batter d’occhio, con la sua sola apparizione, il Goljadkin minore aveva demolito tutto il trionfo e tutta la gloria del signor Goljadkin maggiore, eclissato con la sua persona il Goljadkin maggiore, calpestato nel fango Goljadkin maggiore e infine chiaramente provato che il Goljadkin maggiore non era affatto quello che sembrava, ma era e questo e quello e, di conseguenza, non doveva e non aveva il diritto di appartenere alla società delle persone benintenzionate e di belle maniere.  E tutto ciò era accaduto a tal segno rapidamente che il signor Goljadkin maggiore non aveva neppur fatto in tempo ad aprir bocca, che già tutti si erano dati anima e corpo allo scandaloso e falso signor Goljadkin e col più profondo disprezzo avevano respinto lui, il vero e innocente signor Goljadkin. Non restava più una persona, nemmeno la più insignificante di tutta la compagnia, a cui l’inutile e falso signor Goljadkin non si fosse strofinato a modo suo, nella maniera più sdolcinata, a cui non avesse fatto la corte a modo suo, davanti alla quale non avesse bruciato, al suo solito, un qualche incenso dei più gradevoli e dolci, cosicché la persona incensata annusava soltanto e starnutiva fino alle lacrime, in segno di supremo piacere. E, soprattutto, ciò avveniva in un attimo: la rapidità di mosse del sospetto e inutile signor Goljadkin era meravigliosa! Ha appena avuto il tempo, per esempio, di strofinarsi  a uno, di guadagnarne la benevolenza, e in meno d’un batter d’occhio eccolo già presso un altro. Liscia, liscia quest’altro alla chetichella, strappa un sorrisino di condiscendenza, spara un calcetto con la sua gambetta cortina, tondella, abbastanza rigidetta del resto, ed eccolo già con un terzo, e già corteggia il terzo e liscia amichevolmente anche lui; non hai il tempo di aprir la bocca, di piombare dallo stupore, che lui è già presso un quarto, e col quarto è già negli stessi rapporti; è un orrore: una stregoneria, e basta! E tutti sono lieti di vederlo, e tutti lo amano, e tutti lo decantano, e tutti proclamano in coro che la sua gentilezza e la tendenza satirica del suo ingegno sono incomparabilmente superiori alla gentilezza e alla tendenza  satirica del vero signor Goljadkin,  e in tal modo svergognano il vero e innocente signor Goljadkin, e respingono il verosimile signor Goljadkin, e già cacciano a urtoni il bene intenzionato signor Goljadkin, noto per il suo amor del prossimo!... Pieno di angoscia, di orrore, di furore, il martoriato signor Goljadkin corse fuori sulla via e cercò di noleggiare una vettura per volare direttamente da sua eccellenza, e, se non da lui, almeno da Andréj Filìppovič, ma… orrore! I vetturini in nessun modo acconsentivano a portare il signor Goljadkin: «Non è possibile, signore, dicevano, portare due persone perfettamente simili; una brava persona cerca di vivere secondo onestà, e non in qualunque maniera, e non ha mai doppia esistenza»In una frenesia di vergogna il perfettamente onesto signor Goljadkin si guardava intorno, e in realtà si sincerava egli stesso, coi propri occhi, che i vetturini e Petruška, messosi in combutta con loro, erano tutti nel loro diritto; giacché il depravato signor Goljadkin si trovava realmente pure lì, accanto a lui, a non grande distanza da lui e, seguendo le vili consuetudini dell’indole sua anche lì, anche in quel critico caso senza fallo si accingeva a fare qualcosa di oltremodo sconveniente, che non rivelava per nulla la speciale nobiltà di carattere che si riceve di solito con l’educazione: nobiltà di cui tanto si gloriava a ogni favorevole occasione il ripugnante signor Goljadkin secondo. Senza aver coscienza di sé, pieno di vergogna e di disperazione, il perduto e assolutamente retto signor Goljadkin si diede a correre: dove lo portavan le gambe, in balìa del destino, all’impazzata; ma ad ogni suo passo,  a ogni colpo della sua gamba sul granito del marciapiede, balzava fuori, come di sottoterra, un altro perfettamente simile e, per la depravazione del cuore, ripugnante signor  Goljadkin. E tutti questi individui perfettamente simili, subito dopo la loro apparizione, si buttavano a correre uno dietro l’altro, e in una lunga serie, come una fila di oche, si stendevano e arrancavano dietro il signor Goljadkin maggiore, cosicché venne infine al mondo uno spaventoso visibilio d’individui perfettamente simili… cosicché tutta la capitale fu infine stipata di quei perfetti simili, e un agente di polizia, vedendo una tale offesa al decoro, fu costretto a prendere tutti quei perfetti simili pel bavero e a cacciarli in una garitta che si trovava per caso al suo fianco… Intorpidito e agghiacciato dall’orrore, sentiva che anche nella veglia si passava il tempo ben poco più allegramente…. Provava una sensazione penosa, tormentosa… Lo assaliva un’angoscia tale, come se qualcuno gli rosicchiasse il cuore nel petto…"

Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi"), pp.272,273,274



Copia di "Riproduzione vietata"di R. Magritte
(da https://www.flickr.com/photos/rokepaintsportraits/4084910401)




sabato 4 maggio 2013

Contestualizzazione

 «E con l'impostura e l'impudenza, egregio signore, nel nostro secolo non si fa presa. L'impostura e l'impudenza, egregio signor mio, non portano a nulla di bene, ma conducono al capestro. Griška Otrep'ev (monaco che si fece passare per Dimitrij, figlio di Ivàn il Terribile, n.d.r.) soltanto, signor mio, riuscì con l'impostura, ingannando un popolo cieco, ma anche lui non per lungo tempo (riuscì a togliere il trono a Borìs Godunòv e perì tragicamente due anni dopo, n.d.r.) . »

"Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi")

Eh, signor Goljadkin, eh Fëdor, se vedeste, ora!



Quant'è bella giovinezza?


Tutta quest'enfasi sulla gioventù... non mi va», osservò. «Senti, tu sai quanto possa essere tragico essere giovani, così non rifilarmi la storia che è meraviglioso. Tutti quei ragazzi che venivano da me con le loro contraddizioni, le loro lotte, il senso d'inadeguatezza, la convinzione che la vita fosse miserevole, tanto disastrosa da indurli al suicidio...»
[...]
Sì, convenni, ma se invecchiare è tanto appetibile, perché tutti dicono: «Oh, se fossi ancora giovane!» Non si sente mai nessuno che dica: «Mi piacerebbe avere sessantacinque anni».
Fece un sorriso. «Sai cosa rivela? Vite insoddisfatte. Vite inappagate. Vite che non hanno avuto senso. Se la tua vita ha un senso, non vuoi certo tornare indietro, ma proseguire, andare avanti. Vuoi vedere, fare altre cose. Sei ansioso di arrivare a sessantacinque anni.»"



I miei martedì col professore, Mitch Albom, pp. 122,123,124  Biblioteca Universale Rizzoli