sabato 18 maggio 2013

Donna nell'Ottocento russo


Diversi libri e le loro note trasposizioni cinematografiche avranno portato alcuni di noi a pensare quanto potesse  essere desiderabile vivere nell'Ottocento, immaginando abiti sontuosi, maniere eleganti, palazzi affrescati e feste da ballo.
Ma sentiamo cosa Dostoevskij fa dire in uno dei suoi monologhi mentali - solitamente deliranti ma, in questo caso, è molto lucido e realistico -  a Goljadkin, il “nostro eroe” ne ‘Il sosia’, mentre egli attende, bagnato fradicio dopo una tormenta di neve, accasciato su un ceppo accanto a un cumulo di legna, un segnale convenzionato di Klara Olsùf’evna, dopo aver ricevuto la di lei missiva:

«Ecco com'è,  signorina mia, sempre che vogliate saperlo. E in una capanna, signorina mia, dico, è così e così, nel nostro secolo nessuno ci vive. Ecco che cosa! E senza costumatezza nel nostro secolo industriale, signorina mia, non si fa presa, del che voi stessa servite ora di funesto esempio…
Occorre, dite, prestar servizio come capoufficio e vivere in una capanna, sulla riva del mare. In primo luogo, signorina mia, sulle rive del mare non ci son capiufficio. Poiché, mettiamo, per fare una supposizione, ecco, io inoltro una domanda, mi presento… dico, è così e così, fatemi capoufficio, dico… e difendetemi dal mio nemico… ma a voi diranno, signorina, diranno quello… di capiufficio ce ne sono già molti, e che voi qui non siete dall'emigrata Falbalà [nomignolo che Goljadkin affibbia all'istitutrice francese del collegio in cui ha studiato Klara Olsùf’evna, n.d.r.], dove avete imparato i buoni costumi, del che voi stessa servite di funesto esempio. I buoni costumi poi, signorina, vuol dire starsene a casa, rispettare il padre e non pensare ai fidanzati prima del tempo. I fidanzati, signorina, a suo tempo si troveranno… ecco com'è  Certamente, bisogna possedere, ciò è indiscutibile, varie capacità, come: suonare a volte il pianoforte, parlare il francese, sapere la storia, la geografia, il catechismo e l’aritmetica… ecco com'è ... E di più non occorre. Oltre a ciò, anche la cucina; senza fallo nella cerchia delle cognizioni di ogni ben costumata fanciulla deve entrar la cucina! Qui invece che cosa abbiamo? In primo luogo, bellezza mia, egregia signorina mia, non vi lasceranno uscire, e vi faranno inseguire, e poi sotto chiave, in un monastero. E allora, signorina mia? Allora che vorrete che io faccia? Mi ordinerete, signorina mia, secondo certi stupidi romanzi, di venire sulla prossima collina a sciogliermi in lacrime, guardando le fredde mura della vostra prigione, e infine di morire, secondo l’abitudine di certi pessimi poeti e romanzieri tedeschi? È così, signorina? Sì, in primo luogo, permettetemi di dirvi amichevolmente che le cose non si fanno così; in secondo luogo, frusterei a dovere voi e anche i genitori vostri, perché vi hanno lasciato leggere dei librucci francesi; giacché i librucci francesi non insegnano il bene. Lì, c’è un veleno… un veleno pestifero, signorina mia! Oppure voi pensate, permettete che ve lo domandi, oppure voi pensate che, diciamo, così e così, fuggiremo impunemente e poi quello… diciamo, eccovi la capannuccia sulla riva del mare; e poi cominceremo a tubare e a ragionar di svariati sentimenti e così trascorreremo anche tutta la vita, in agiatezza e felicità; e poi verrà al mondo un piccolino, e allora noi di quello… diremo, è così e così, genitore nostro e consigliere di stato, Olsufij Ivànovič, ecco, diremo, è venuto un piccolino, e così voi in questa buona occasione ritirate la maledizione e benedite la coppia? No, signorina, e ancora una volta, le cose non si fanno così, e la prima cosa è che il tubare non ci sarà, non vogliate sperarlo. Oggigiorno il marito, signorina mia, è il padrone e una buona, bene educata moglie deve compiacerlo in ogni cosa. E le tenerezze, signorina, oggigiorno non piacciono, nel nostro secolo industriale; sono passati, dicono, i tempi di Jean Jacques Rousseau. Il marito, per esempio, oggidì viene affamato dall'ufficio;  animuccia, dice, non c’è qualche cosa per fare uno spuntino, un po’ di vodka da bere, un’aringhetta da mangiare? E così voi, signorina, dovete aver subito pronte un po’ di vodka e l’aringhetta. Il marito farà il suo spuntino con appetito, e a voi non getterà neanche uno sguardo, ma dirà: va’ un po’, dirà, in cucina, micetta mia, e bada al desinare e tutt’al più vi bacerà una volta alla settimana, e anche allora con indifferenza… Ecco com'è  secondo noi, signorina mia! E anche allora con indifferenza, dico!... Ecco come sarà, se si deve ragionar così, se ormai a questo si è arrivati, che si debba cominciar a vedere la cosa, ecco, a questa maniera…»

"Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi"), pp. 323,324, 325
Ivan Kramskoj - Portrait of E. Vasilchikova (1867)





giovedì 9 maggio 2013

L’incubo di Goljadkin


"Ora il signor Goljadkin sognava di trovarsi in un’ottima compagnia, nota per la sua arguzia e per i modi distinti di tutte le persone che la componevano; sognava che il signor Goljadkin, a sua volta,  si era segnalato in fatto di gentilezza e  di arguzia che tutti l’avevano preso a benvolere, perfino alcuni dei nemici suoi, che eran pure lì, l’avevano preso a benvolere, il che era molto gradito al signor Goljadkin; che tutti gli avevano assegnato il primato, e infine che  il signor Goljadkin in persona aveva udito con compiacenza come lì stesso il padrone di casa, tirato in disparte qualcuno degli ospiti, aveva lodato il signor Goljadkin… e d’un tratto, che è che non è, era nuovamente comparso il personaggio noto per le sue  male intenzioni e i suoi bestiali impulsi, sotto l’aspetto del signor Goljadkin minore, e lì stesso, di colpo, in un batter d’occhio, con la sua sola apparizione, il Goljadkin minore aveva demolito tutto il trionfo e tutta la gloria del signor Goljadkin maggiore, eclissato con la sua persona il Goljadkin maggiore, calpestato nel fango Goljadkin maggiore e infine chiaramente provato che il Goljadkin maggiore non era affatto quello che sembrava, ma era e questo e quello e, di conseguenza, non doveva e non aveva il diritto di appartenere alla società delle persone benintenzionate e di belle maniere.  E tutto ciò era accaduto a tal segno rapidamente che il signor Goljadkin maggiore non aveva neppur fatto in tempo ad aprir bocca, che già tutti si erano dati anima e corpo allo scandaloso e falso signor Goljadkin e col più profondo disprezzo avevano respinto lui, il vero e innocente signor Goljadkin. Non restava più una persona, nemmeno la più insignificante di tutta la compagnia, a cui l’inutile e falso signor Goljadkin non si fosse strofinato a modo suo, nella maniera più sdolcinata, a cui non avesse fatto la corte a modo suo, davanti alla quale non avesse bruciato, al suo solito, un qualche incenso dei più gradevoli e dolci, cosicché la persona incensata annusava soltanto e starnutiva fino alle lacrime, in segno di supremo piacere. E, soprattutto, ciò avveniva in un attimo: la rapidità di mosse del sospetto e inutile signor Goljadkin era meravigliosa! Ha appena avuto il tempo, per esempio, di strofinarsi  a uno, di guadagnarne la benevolenza, e in meno d’un batter d’occhio eccolo già presso un altro. Liscia, liscia quest’altro alla chetichella, strappa un sorrisino di condiscendenza, spara un calcetto con la sua gambetta cortina, tondella, abbastanza rigidetta del resto, ed eccolo già con un terzo, e già corteggia il terzo e liscia amichevolmente anche lui; non hai il tempo di aprir la bocca, di piombare dallo stupore, che lui è già presso un quarto, e col quarto è già negli stessi rapporti; è un orrore: una stregoneria, e basta! E tutti sono lieti di vederlo, e tutti lo amano, e tutti lo decantano, e tutti proclamano in coro che la sua gentilezza e la tendenza satirica del suo ingegno sono incomparabilmente superiori alla gentilezza e alla tendenza  satirica del vero signor Goljadkin,  e in tal modo svergognano il vero e innocente signor Goljadkin, e respingono il verosimile signor Goljadkin, e già cacciano a urtoni il bene intenzionato signor Goljadkin, noto per il suo amor del prossimo!... Pieno di angoscia, di orrore, di furore, il martoriato signor Goljadkin corse fuori sulla via e cercò di noleggiare una vettura per volare direttamente da sua eccellenza, e, se non da lui, almeno da Andréj Filìppovič, ma… orrore! I vetturini in nessun modo acconsentivano a portare il signor Goljadkin: «Non è possibile, signore, dicevano, portare due persone perfettamente simili; una brava persona cerca di vivere secondo onestà, e non in qualunque maniera, e non ha mai doppia esistenza»In una frenesia di vergogna il perfettamente onesto signor Goljadkin si guardava intorno, e in realtà si sincerava egli stesso, coi propri occhi, che i vetturini e Petruška, messosi in combutta con loro, erano tutti nel loro diritto; giacché il depravato signor Goljadkin si trovava realmente pure lì, accanto a lui, a non grande distanza da lui e, seguendo le vili consuetudini dell’indole sua anche lì, anche in quel critico caso senza fallo si accingeva a fare qualcosa di oltremodo sconveniente, che non rivelava per nulla la speciale nobiltà di carattere che si riceve di solito con l’educazione: nobiltà di cui tanto si gloriava a ogni favorevole occasione il ripugnante signor Goljadkin secondo. Senza aver coscienza di sé, pieno di vergogna e di disperazione, il perduto e assolutamente retto signor Goljadkin si diede a correre: dove lo portavan le gambe, in balìa del destino, all’impazzata; ma ad ogni suo passo,  a ogni colpo della sua gamba sul granito del marciapiede, balzava fuori, come di sottoterra, un altro perfettamente simile e, per la depravazione del cuore, ripugnante signor  Goljadkin. E tutti questi individui perfettamente simili, subito dopo la loro apparizione, si buttavano a correre uno dietro l’altro, e in una lunga serie, come una fila di oche, si stendevano e arrancavano dietro il signor Goljadkin maggiore, cosicché venne infine al mondo uno spaventoso visibilio d’individui perfettamente simili… cosicché tutta la capitale fu infine stipata di quei perfetti simili, e un agente di polizia, vedendo una tale offesa al decoro, fu costretto a prendere tutti quei perfetti simili pel bavero e a cacciarli in una garitta che si trovava per caso al suo fianco… Intorpidito e agghiacciato dall’orrore, sentiva che anche nella veglia si passava il tempo ben poco più allegramente…. Provava una sensazione penosa, tormentosa… Lo assaliva un’angoscia tale, come se qualcuno gli rosicchiasse il cuore nel petto…"

Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi"), pp.272,273,274



Copia di "Riproduzione vietata"di R. Magritte
(da https://www.flickr.com/photos/rokepaintsportraits/4084910401)




sabato 4 maggio 2013

Contestualizzazione

 «E con l'impostura e l'impudenza, egregio signore, nel nostro secolo non si fa presa. L'impostura e l'impudenza, egregio signor mio, non portano a nulla di bene, ma conducono al capestro. Griška Otrep'ev (monaco che si fece passare per Dimitrij, figlio di Ivàn il Terribile, n.d.r.) soltanto, signor mio, riuscì con l'impostura, ingannando un popolo cieco, ma anche lui non per lungo tempo (riuscì a togliere il trono a Borìs Godunòv e perì tragicamente due anni dopo, n.d.r.) . »

"Il sosia", 1866, F.Dostoevskij (dalla raccolta "Racconti e romanzi brevi")

Eh, signor Goljadkin, eh Fëdor, se vedeste, ora!



Quant'è bella giovinezza?


Tutta quest'enfasi sulla gioventù... non mi va», osservò. «Senti, tu sai quanto possa essere tragico essere giovani, così non rifilarmi la storia che è meraviglioso. Tutti quei ragazzi che venivano da me con le loro contraddizioni, le loro lotte, il senso d'inadeguatezza, la convinzione che la vita fosse miserevole, tanto disastrosa da indurli al suicidio...»
[...]
Sì, convenni, ma se invecchiare è tanto appetibile, perché tutti dicono: «Oh, se fossi ancora giovane!» Non si sente mai nessuno che dica: «Mi piacerebbe avere sessantacinque anni».
Fece un sorriso. «Sai cosa rivela? Vite insoddisfatte. Vite inappagate. Vite che non hanno avuto senso. Se la tua vita ha un senso, non vuoi certo tornare indietro, ma proseguire, andare avanti. Vuoi vedere, fare altre cose. Sei ansioso di arrivare a sessantacinque anni.»"



I miei martedì col professore, Mitch Albom, pp. 122,123,124  Biblioteca Universale Rizzoli